giovedì, 20 Novembre , 2025
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Dal green al gourmet: il ristorante del circolo di golf ambasciatore del made in Italy

I Golf Club italiani hanno un asset sottovalutato—l'enogastronomia d'eccellenza. Ma pochi sanno venderla come esperienza che vale quanto la buca 18

C’è un momento, alla fine di un giro di golf, dove il corpo smette di contare i colpi e la mente inizia a pensare al bicchiere di vino che ti aspetta in clubhouse. Hai camminato 18 buche, maledetto il tuo swing sul 7 e benedetto il putt impossibile sul 14. Adesso quello che vuoi è sederti, toglierti le scarpe chiodate, e lasciare che qualcuno ti porti un piatto che ha senso. Non un panino industriale. Non un’insalata triste. Un piatto vero. In Italia, questo momento potrebbe essere straordinario. I Golf Club italiani sono immersi in Toscana, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia, Sardegna – regioni gastronomiche che il mondo ci invidia. Eppure in troppi circoli il ristorante è ancora pensato come servizio accessorio, non come esperienza che vale quanto il golf stesso. Ci sono eccezioni luminose – circoli dove lo chef ha una stella Michelin, dove la cucina locale viene celebrata con serietà. Ma sono eccezioni, non la norma.

Il turismo del golf sta cambiando. I giocatori che attraversano l’Europa non cercano solo green perfetti. Cercano esperienze totali: design, paesaggio, autenticità della cucina. Un americano che prenota una golf trip in Italia non vuole il club sandwich di Orlando. Vuole assaggiare il territorio. Vuole che il circolo sia ambasciatore del made in Italy, non solo custode di un percorso. Eppure la maggior parte dei Golf Club italiani non vende la propria cucina. Non la comunica, non la fotografa, non la integra nei pacchetti turistici. È come avere un Brunello di Montalcino in cantina e non dirlo a nessuno. Nel 2026, se non racconti quello che hai, è come se non ce l’avessi


L’opportunità invisibile (e perché nessuno la vede)

Esiste un paradosso affascinante nel mondo dei Golf Club italiani. Possiedi un asset che vale oro – la connessione diretta con territori enogastronomici leggendari – ma lo tratti come se fosse un dettaglio. Il sito web del circolo dedica sei pagine al percorso (metrature, par, slope rating, foto aeree) e tre righe al ristorante, spesso nella sezione “servizi” accanto a “pro shop” e “spogliatoi”. Il risultato? Un golfista inglese che sta pianificando un viaggio in Toscana visita il tuo sito, vede bellissime foto delle buche, e prenota. Arriva, gioca, mangia benissimo, e solo dopo scopre che quello che ha appena assaggiato era un piatto preparato con ingredienti a km zero da uno chef che ha lavorato in ristoranti stellati. Se lo avesse saputo prima, avrebbe pagato di più. E avrebbe portato amici.

Il problema non è la qualità – molti circoli italiani hanno cucina eccellente. Il problema è l’invisibilità strategica. La ristorazione viene percepita come servizio di supporto, non come elemento distintivo dell’offerta. È un pensiero ereditato da un’epoca in cui il golf bastava a se stesso: arrivi, giochi, mangi qualcosa, torni a casa. Ma quell’epoca è finita. Il turismo del golf contemporaneo cerca esperienze stratificate: paesaggio, sport, cultura, enogastronomia. Tutti i layer devono essere comunicati, venduti, integrati. Chi continua a vendere solo “18 buche par 72” sta lasciando sul tavolo la metà del valore.

I numeri lo confermano. Secondo dati del turismo golfistico europeo, oltre il 60% dei golfisti stranieri che visitano l’Italia dichiara che l’enogastronomia è un fattore determinante nella scelta della destinazione – non accessorio, determinante. Non vengono “anche per mangiare bene”. Vengono perché vogliono giocare a golf in luoghi dove mangiare bene è parte integrante dell’identità locale. Se il tuo circolo si trova in Piemonte e non comunica che il ristorante serve tajarin al tartufo bianco d’Alba, stai perdendo clienti che pagherebbero premium price per quella combinazione di esperienza sportiva e gastronomica.

Eppure basta guardare i siti web. Vai sul sito di un circolo toscano rinomato: splendide foto del percorso, storia del club, dettagli tecnici. Clicchi su “ristorante”: due foto generiche, menu in PDF vecchio di sei mesi, nessuna menzione dello chef, nessuno storytelling sui fornitori locali, nessuna connessione con il territorio. È come avere una Ferrari in garage e descriverla come “mezzo di trasporto con quattro ruote”. Tecnicamente corretto, strategicamente disastroso.

Poi ci sono le eccezioni virtuose. Il Castelfalfi in Toscana ha trasformato il ristorante in elemento centrale del brand: cucina toscana autentica, ingredienti dalla tenuta, wine pairing curati, comunicazione fotografica professionale che mostra i piatti quanto il percorso. Risultato? Pacchetti “golf & gourmet” venduti a premium price, clienti internazionali che prenotano tanto per il ristorante quanto per le buche.

All’estero, questo approccio è standard. Vai sul sito di un circolo scozzese o irlandese di livello: trovi la sezione dedicata al ristorante, interviste allo chef, calendario eventi gastronomici, pacchetti integrati che vendono “36 buche + cena degustazione” come esperienza unica. I grandi resort spagnoli (Valderrama, PGA Catalunya) comunicano la cucina con la stessa cura maniacale del percorso. Perché hanno capito che il golfista contemporaneo non separa golf e lifestyle – cerca luoghi dove tutto è eccellenza, dal tee al tavolo.

L’Italia ha un vantaggio competitivo enorme su questo fronte. Nessun altro Paese europeo può competere con la densità e varietà della nostra tradizione enogastronomica. Ma il vantaggio competitivo conta zero se non viene comunicato, venduto, trasformato in offerta strutturata. Avere il miglior risotto alla milanese d’Italia in clubhouse non ti differenzia se il golfista tedesco che sta scegliendo tra te e un circolo spagnolo non lo sa.

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Come trasformare il piatto in strategia

La buona notizia è che non serve rivoluzionare nulla in cucina. Se il tuo circolo ha già un ristorante decente, hai il 70% del lavoro fatto. Il problema è comunicazione e packaging, non qualità. E qui bastano scelte precise, non budget milionari.

  • Primo: racconta lo chef e i fornitori. Non “il nostro ristorante offre cucina regionale”, ma “lo chef Marco lavora con il caseificio Rossi a 8 km dal circolo per il Parmigiano Reggiano 36 mesi, e con l’azienda agricola Bianchi per le verdure di stagione”. Storytelling concreto, nomi reali, chilometri percorsi dal prodotto. Il golfista straniero adora questa roba—non è folklore, è autenticità documentabile. E si paga.
  • Secondo: fotografia professionale dei piatti. Non foto fatte col telefono dal cameriere. Fotografo food, luce giusta, styling curato. Le foto vanno su sito, social, brochure. Quando un tour operator britannico costruisce pacchetti golf Italia, sfoglia decine di siti. Se vede foto professionali di tagliatelle al ragù e brasato al Barolo, ti mette nel pacchetto premium. Se vede foto sgranate di pasta al pomodoro, ti ignora.
  • Terzo: pacchetti integrati golf & gourmet. Non “green fee + eventuale pranzo”. Ma “esperienza completa: 18 buche + degustazione vini locali + cena 4 portate abbinata”. Prezzo unico, comunicazione chiara, valore percepito alto. I circoli che vendono così riportano incrementi di fatturato ristorante del 30-40% senza toccare la cucina—solo cambiando come la vendono.
  • Quarto: eventi enogastronomici nel calendario. “Cena del tartufo” a novembre, “serata ostriche e Champagne” in estate, “masterclass vini naturali” in primavera. Eventi che attirano anche non-golfisti (soci che portano ospiti, clienti locali) e posizionano il circolo come luogo di lifestyle, non solo di sport. Risultato: ristorante pieno anche nei giorni di bassa affluenza sul campo.
  • Quinto: comunicare attraverso stampa specializzata e media esterni. Qui la maggior parte dei circoli sbaglia approccio: pensano che basti aggiornare il sito e postare sui social del club. Ma la vera autorevolezza si costruisce quando sono gli altri a parlare di te. Comunicati stampa per eventi enogastronomici inviati a testate di settore (CircoloDelGolf.it, riviste lifestyle, magazine enogastronomici locali). Articoli dedicati allo chef, alle collaborazioni con produttori d’eccellenza, ai menu stagionali. Reel professionali—non selfie, ma video prodotti bene – che raccontano storie: il fornitore di tartufi che porta prodotto fresco ogni martedì, la vendemmia nel vigneto partner del circolo, il dietro le quinte della preparazione del menu degustazione.

Quando CircoloDelGolf.it o una testata enogastronomica pubblica un articolo sul tuo ristorante, quel contenuto ha credibilità che il tuo sito non può replicare. È quella terza parte che valida la qualità. È SEO che posiziona online sui motori di ricerca e porta traffico qualificato. È contenuto che i tour operator leggono quando cercano “migliori ristoranti golf Italia”. Non stai solo comunicando – stai costruendo reputazione attraverso voci autorevoli esterne. E quella reputazione si traduce in prenotazioni, in posizionamento premium, in capacità di ottimizzare i prezzi senza perdere clienti.

I circoli che applicano questi cinque punti vedono risultati immediati: aumento prenotazioni straniere, incremento fatturato F&B, miglioramento reputazione brand, copertura mediatica che amplifica reach. Cominciamo a fare ingegneria dell’esperienza e della comunicazione strategica. Il golf certo, resta centrale, ma smette di essere l’unico motivo per venire. E quando dai al cliente più motivi per sceglierti – e quando fai in modo che siano media autorevoli a raccontare quei motivi – puoi alzare i prezzi senza perdere domanda.

Il valore che non sappiamo di avere

C’è qualcosa di profondamente italiano in questo paradosso. Possediamo tesori – paesaggi, tradizioni culinarie, saperi tramandati – e li trattiamo come se fossero scontati. Come se bastasse esistere per essere riconosciuti. Il resto del mondo non funziona così. Il resto del mondo vende, comunica, costruisce narrazioni intorno a ciò che ha. Noi aspettiamo che qualcuno si accorga da solo della nostra eccellenza. E quando non succede, ci lamentiamo che “non ci valorizzano”.

I golf club italiani incarnano perfettamente questa contraddizione. Hanno tutto: percorsi immersi in territori straordinari, clubhouse che potrebbero essere set cinematografici, cucine che lavorano con ingredienti che altrove sono un lusso inaccessibile. Eppure vendono tutto questo come fosse un green fee qualsiasi. Niente storytelling, niente fotografia emozionale, niente packaging che faccia percepire il valore reale. E poi si stupiscono quando il golfista tedesco prenota in Spagna invece che in Toscana – non perché la Spagna sia meglio, ma perché la Spagna ha capito come raccontarsi.

Non è questione di autenticità contro marketing. È questione di rispetto per ciò che si possiede. Se hai uno chef che prepara pici cacio e pepe con pecorino di Pienza e pepe macinato al momento, e lo descrivi sul menu come “pasta tradizionale”, stai mancando di rispetto al prodotto, al territorio, allo chef stesso, e stai nascondendo il valore. E il valore nascosto è valore perso.

Il turismo del golf vale miliardi in Europa. L’Italia potrebbe catturarne una fetta molto più grande di quella attuale. Ma serve smettere di pensare che “il prodotto si vende da solo”. Il prodotto eccellente senza narrazione eccellente perde contro il prodotto medio con narrazione efficace. Sempre. È una legge di mercato spietata quanto un putt in discesa sul 18.

I circoli che lo hanno capito stanno già raccogliendo risultati. Non servono rivoluzioni – servono scelte consapevoli: comunicare lo chef come si comunica l’architetto del percorso, fotografare i piatti come si fotografano le buche, vendere esperienze complete invece che servizi separati. Piccoli cambiamenti che spostano la percezione. E la percezione, nel turismo di fascia alta, è tutto. Forse è questo il vero lusso che i Golf Club italiani possono offrire: l’autenticità comunicata con intelligenza. Un risotto al Barolo servito in clubhouse dopo 18 buche nelle Langhe è un compimento narrativo dell’esperienza. Il campo ti ha fatto sentire il territorio con i piedi; il piatto te lo fa sentire con il palato. Insieme, creano memoria. E la memoria è ciò che fa tornare un cliente, ciò che lo fa parlare bene di te, ciò che lo trasforma in ambasciatore involontario del tuo brand.

Ma tutto questo accade solo se qualcuno decide che il ristorante del circolo non è “dove si mangia dopo”. È dove l’esperienza si completa. E dove l’Italia, quella vera, trova voce. Dal green al gourmet, senza soluzione di continuità. Perché il made in Italy non vive solo nelle vetrine di via Montenapoleone – vive anche nelle clubhouse, nelle cucine dei circoli, nei piatti che raccontano un territorio mentre tu ancora senti nelle gambe la fatica della salita sulla buca 14. Chi lo capisce, vince. Gli altri continueranno a servire ottima cucina a golfisti che non sapevano nemmeno di poterla trovare lì. E si chiederanno perché il circolo spagnolo, con cucina mediocre ma comunicazione impeccabile, ha liste d’attesa e loro no.

La risposta è semplice. Non basta essere bravi. Bisogna saper dire al mondo che lo sei. E nel 2026, chi non lo dice, è come se non lo fosse.

Paul Fasciano
Paul Fascianohttp://www.circolodelgolf.it
Paul k. Fasciano è un Mental Coach prestato al mondo del golf e della comunicazione. E' anche Consulente, Editore e Autore. EMCC Ambassador.
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