venerdì, 17 Gennaio , 2025
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Intervista a Francesco Modestini, Superintendent dell’Olgiata Golf Club

E’ un uggioso lunedì di novembre e il circolo dell’Olgiata è silenzioso e seducente con la sua bellezza senza tempo, amplificata dalla particolare pace che vi regna nel giorno di riposo del club. Abbiamo finalmente l’opportunità di incontrare il superintendent dell’Olgiata Golf Club, Francesco Modestini, colui che rende possibile la meraviglia di uno dei campi più belli del Paese, e che vanta un retaggio formativo e professionale davvero appassionante tra America e Italia. In questa intervista esclusiva Francesco ci guiderà attraverso un viaggio di conoscenza, che non è solo approfondita padronanza e manutenzione del tappeto erboso, ma un vero e proprio atto d’amore verso la natura e il golf.

Francesco, è un onore incontrarti ed avere l’opportunità di approfondire da vicino questo mestiere così affascinante: il superintendent. Come hai visto evolvere questa professione nel corso degli anni, unita all’importanza che riveste il tappeto erboso sportivo nel golf?

Francesco Modestini green keeper Olgiata Golf Club

Il ruolo del superintendent e la gestione del tappeto erboso sportivo sono diventati sempre più centrali nel golf. Con l’evolversi del gioco e l’aumento delle aspettative dei giocatori, l’attenzione alla qualità del manto erboso è cresciuta esponenzialmente. La sfida continua è quella di mantenere queste qualità ai livelli più elevati possibili, compatibilmente con le condizioni ambientali, le risorse disponibili e con una forte attenzione alla sostenibilità ed al rispetto dell’ambiente.

Raccontaci come tutto questo viene messo in pratica all’Olgiata Golf Club e quali sfide comporta il tuo ruolo su questo straordinario campo?

Trattandosi di un percorso che si sviluppa per la sua maggioranza circondato da alberi d’alto fusto che si trovano anche a pochi metri dai fairway, occuparsi della cura e della manutenzione del percorso richiede grande impegno, attenzione e forza lavoro. Infatti, alberi così vicini alle zone di gioco determinano condizioni profondamente diversificate anche in pochi metri.

Questo è un lavoro che richiede molta passione e dedizione, un’attenta programmazione mensile ed annuale per far fronte alle piccole e grandi “emergenze” che nel tempo inevitabilmente s’incontrano. Ci si trova continuamente a dover decidere le precedenze che vengono scandite dai fattori che possono arrecare le maggiori difficoltà in futuro. Quindi bisogna essere sempre avanti di settimane o spesso di mesi, avere visione e mettere a fuoco quelle che sono le vere priorità; spesso anche molto diverse da quelle che si mostrano al momento che possono essere ingannevoli.

Questo approccio riflette una filosofia di vita che si lega strettamente all’etica e alla saggezza del golf.

Questa domanda mi dà lo spunto per rinnovare e comunicare l’aspetto più profondo della mia professione: un balance continuo tra ricerca, riflessione, concretezza e rapidità nella decisione delle operazioni di manutenzione. Un attento ascolto della natura che si mette a fuoco anche con solitari sopralluoghi sul campo quando l’osservazione è concentrata non solo sul manto erboso, ma su tutti gli esseri vegetali e l’andamento climatico.

Tutto ciò per “accompagnare” con rispetto il manto erboso nella stagionalità verso continue e mutabili condizioni ambientali e permettere agli appassionati di questo bellissimo sport di godere dei suoi aspetti migliori. Il tutto cercando di mantenere il meglio possibile quei parametri tecnici indispensabili per una superficie di gioco quali: densità, colore, assenza di irregolarità, uniformità, resilienza, levigatezza, altezza di taglio, ecc. e trattandosi di un enorme complesso di organismi viventi ogni mattina in qualche modo si ricomincia daccapo.

Cosa richiede la formazione accademica di un superintendent? E come si arriva a lavorare su un campo da golf prestigioso come quello dell’Olgiata?

Dopo la laurea in agraria a Perugia, ho iniziato a collaborare con un professore dell’Istituto di Genetica Vegetale che aveva contatti con la Federazione Italiana Golf. In quel periodo studiavo il radicamento del Lolium Perenne, il cosiddetto “loietto”, una varietà usata anche per i campi sportivi, e così ho iniziato il mio percorso nel mondo del golf.

Era il 1988, e la Federazione Italiana Golf su iniziativa del Presidente Giuseppe Silva e del Consigliere Roberto Rivetti aveva deciso di creare una “Green Section” presso la Scuola Nazionale di Golf e cercava due laureati disposti a partire per gli Stati Uniti per studiare “Turfgrass Science” presso la Texas A&M University di College Station, una delle Università più importanti in questo settore. E così sono partito. L’esperienza debbo ammettere è stata intensa: ogni sera si trattava di riscrivere tutti gli appunti presi nel corso delle lezioni perché rappresentavano il “patrimonio” con cui avremmo poi costruito il corso. 

Questo sforzo mi ha ripagato permettendomi, al mio ritorno in Italia, di dare inizio insieme a Paolo Croce alla “Sezione Tappeti Erbosi” presso la Scuola Nazionale di Golf. Mi è comunque rimasto il desiderio per un continuo aggiornamento e di ricerca mantenendo relazioni con importanti centri di studio locali e internazionali.

Questa esperienza di studi mi ha aperto un mondo completamente nuovo rispetto all’agronomia classica, con sfide e metodologie diverse; in particolare va detto che la manutenzione di superfici tecniche deve essere tale da riuscire mantenere la fruibilità delle superficie medesime che per ovvi motivi devono mantenersi costantemente giocabili e soddisfare il più possibile nel corso di tutto l’anno specifici requisiti.

Nel corso dell’anno cambiate il tipo di erba nelle varie aree del campo da golf? Come gestite questa trasformazione?

Il nostro approccio nella gestione del tappeto erboso è stato rivoluzionario nel panorama italiano. Negli anni ’80, sulla base delle conoscenze anglosassoni, l’Italia era considerata perfetta per le microterme, a cui appartengono specie adatte a climi freschi e per l’esattezza al cosiddetto areale “temperato fresco”. Tuttavia, io e Paolo, con la consulenza del Professor James B. Beard, forti del fatto che ci troviamo in una zona molto particolare caratterizzata dal clima mediterraneo, abbiamo iniziato a sperimentare l’utilizzazione delle macroterme, a cui appartengono quelle specie adattate a climi caldi.

In pratica siamo arrivati alla considerazione che in Italia ci si trova dal punto di vista adattativo tra gli areali climatici delle micro e quello delle macroterme e che quindi la soluzione migliore sarebbe stata quella di utilizzare le medesime strategie utilizzate in ragioni come la Carolina o la California. Così ci siamo orientati sull’utilizzo di varietà ibride selezionate di gramigna, o bermudagrass, (Cynodon dactylon) molto più resistenti alle alte temperature ed alle carenze idriche rispetto alle microterme. 

Questa innovazione ci ha permesso di mantenere i campi in condizioni ottimali anche nei periodi più caldi. Tuttavia, durante i mesi più freddi, la gramigna entra in una stasi vegetativa che la porta alla perdita della clorofilla e per mantenere una colorazione e un discreto manto erboso, dobbiamo sostituirla con erbe più resistenti al freddo, come il loietto.

Questo richiede un lavoro di costante previsione con una particolare attenzione all’andamento termico e una profonda comprensione di quelli che si chiamano indicatori fenologici, ovvero delle fasi del ciclo vitale (emissione e caduta delle foglie, fioritura, etc.) di specifiche piante, che ci forniscono elementi per guidare le nostre azioni.

Il campo da golf dellOlgiata 1
Il campo da golf dell’Olgiata

Come si è evoluta la sostenibilità nel greenkeeping in Italia?

La sostenibilità è diventata un pilastro fondamentale nel nostro lavoro. Rispetto agli inizi della mia carriera, abbiamo compiuto passi enormi in termini di riduzione del consumo idrico ed energetico, miglior gestione delle malattie e controllo degli insetti attraverso la lotta biologica oltre ad un uso molto più efficiente dei fertilizzanti. Un campo da golf, che si estende su circa 60-70 ettari, richiede pochi interventi mirati che si concentrano essenzialmente sui green, che sono le aree più delicate e richiedono più cure, ma si tratta di un solo ettaro. A proposito della concimazione sono anni che viene utilizzata la tecnica dello “Spoon Feeding”, che permette di somministrare fertilizzanti in piccolissime dosi, annullando l’impatto ambientale. Inoltre, mi sto personalmente concentrando sullo studio e l’applicazione della biodiversità microbica presente nel terreno del tappeto erboso che gioca un ruolo cruciale nell’ecosistema del campo, contribuendo alla sostenibilità complessiva.

In questo senso, una delle sfide maggiori è garantire nel terreno un equilibrio tra i microorganismi benefici e quelli nocivi. Mantenere l’equilibrio tra le componenti del terreno (solida liquida e gassosa) è essenziale per promuovere la crescita di microorganismi utili e prevenire l’asfissia radicale. Riconoscere indicatori, come l’odore del terreno, ci aiuta a intervenire tempestivamente, garantendo così la salute e la vitalità del tappeto erboso. In conclusione possiamo affermare che un campo di golf non solo non rappresenta una coltura che inquina, ma rappresenta a tutti gli effetti un bacino di conservazione dell’ecosistema.

Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato qui all’Olgiata?

Tra gli impegni che ricordo con maggior affezione ci sono i due Open d’Italia del 2002 e del 2019 e i cinque Challenge Tour giocati negli ultimi anni. Questi eventi richiedono standard elevati ardui da raggiungere in un campo complesso come l’Olgiata spesso caratterizzato da spazi che in pochi metri comprendono condizioni ambientali molto diverse in superfici non meccanizazabili. Nonostante queste peculiarità, o forse proprio grazie a queste, l’Olgiata è stato riconosciuto come uno dei primi cento campi a livello europeo ed è stato inserito da GolfDigest anche tra i primi 100 del mondo.

Esistono riconoscimenti o premi per i superintendent, considerando il lavoro più che fondamentale che svolgete per un golf club?

La vera gratificazione per me arriva direttamente dai giocatori, quando riconoscono e apprezzano la qualità e la complessità di questo campo. L’Olgiata è noto per essere un percorso impegnativo, specialmente quando si gioca dai battitori arretrati che presentano sfide maggiori per la presenza degli alberi le cui chiome in certi punti divengono molto strette, mentre il gioco diviene molto meno impegnativo dai battitori avanzati. Qui all’Olgiata abbiamo battitori posizionati in maniera tale da permettere anche ai meno esperti di godere del gioco, pur mantenendo la sfida per i più abili. È questa combinazione di accessibilità e sfida che rende il nostro campo unico e apprezzato da tutti i giocatori e credo che il golf sia uno degli sport più fair che consente a giocatori di diverso livello di competere insieme. I principi del golf non sono solo tecniche, ma riflettono veri e propri principi di vita. Per me, queste regole sono come un libro di filosofia applicabile alla vita quotidiana.

Mantenere il campo nelle migliori condizioni possibili è una sfida continua ed è estremamente gratificante, ma questo lavoro è innanzitutto la mia passione, non smetterò mai di amarlo e desidero ringraziare l’Olgiata Golf Club per avermi dato la possibilità di ottenere grandi soddisfazioni.

Francesco, è stato davvero appassionante scoprire insieme a te la complessità e la bellezza che soggiaciono alla manutenzione di un campo da golf. Grazie per aver condiviso la tua esperienza, la tua saggezza e la tua passione con noi.

L’intervista con Francesco Modestini ci ha offerto così uno sguardo approfondito non solo sulle conoscenze tecniche necessarie per diventare un superintendent di successo, ma anche sulla speciale dedizione capace di trasformare una bellissima passione nella professione di una vita.

Virginia Rifilato
Virginia Rifilato
Giornalista, redattrice e copywriter. Direttrice del primo magazine dedicato ai circoli di golf italiani.
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