C’è una cifra che, più di qualsiasi vittoria in un Major, racconta la vera distanza strutturale tra l’Italia e il cuore del golf continentale: 600.000. Questa è, in cifre tonde, la base di tesserati che sostiene il sistema golfistico tedesco. In Italia, nonostante l’effetto Ryder Cup, nonostante decenni di sforzi promozionali, la nostra base si attesta stabilmente sotto i 100.000. È una discrepanza che non può più essere ignorata.
L’Italia ha dimostrato di poter eccellere nell’organizzazione di eventi World Class, dalla Ryder Cup 2023 alle Final Stage dell’Alps Tour. Abbiamo venue prestigiose e una storia ricca. Ma nel campo della base popolare e dell’accessibilità, la nostra posizione è debole. Non siamo competitivi. E il modello tedesco non è solo un riferimento numerico; è l’espressione di una filosofia di sport radicalmente diversa.
Il velo dell’esclusività
Per decenni, il golf in Italia è stato percepito come uno sport d’élite, un passatempo per club chiusi, con un costo d’ingresso proibitivo e una burocrazia delle regole che scoraggia i neofiti. Non si tratta solo di green fee. Si tratta di percezione.
In Germania, il golf ha beneficiato di una “democratizzazione gestita”. I circoli sono spesso fondati e operano come associazioni sportive non-profit con un obiettivo primario: il servizio ai soci e la promozione della disciplina, piuttosto che la massimizzazione del profitto puramente immobiliare. Questo approccio favorisce:
- Accessibilità Tariffaria: Molte strutture offrono quote di iscrizione più basse o formule flessibili che riducono la barriera economica iniziale.
- Focus sul Neofita: La semplicità del sistema di Handicap e l’enfasi sull’educazione giovanile e scolastica rendono il passaggio all’agonismo un percorso fluido, non un ostacolo.
In Italia, il circolo è spesso un club, talvolta un asset immobiliare o un’impresa con logiche di mercato rigide. Questo modello, pur garantendo l’eccellenza delle strutture high-end, crea un gap incolmabile per la classe media e per le famiglie che non vedono il golf come una priorità economica. Il risultato è la stagnazione.
La macchina organizzativa tedesca
Il successo della Germania si fonda su due pilastri strategici:
- Educazione Giovanile Sistemica: L’integrazione del golf nei programmi sportivi extrascolastici e l’investimento massiccio in istruttori dedicati alla base garantiscono un pipeline costante di nuovi giocatori. Per molti bambini tedeschi, il campo da golf non è un luogo esclusivo, ma un impianto sportivo come un altro.
- Omogeneità Federale: La DGV (Deutscher Golf Verband) lavora in stretta sinergia con i circoli per mantenere standard elevati di gestione, ma soprattutto per promuovere un messaggio unico di accessibilità e sportività. La burocrazia è finalizzata all’inclusione.
Nel nostro Paese, pur riconoscendo gli sforzi della Federazione, la resistenza al cambiamento arriva spesso dalla base dei circoli stessi, che temono che l’apertura e la semplificazione possano “svalutare” l’esclusività del proprio brand. È una miopia che, nel lungo periodo, costa cara a tutto il movimento.
La prossima mossa strategica
Per superare la soglia dei 100.000 tesserati, l’Italia non ha bisogno di nuove Ryder Cup, ma di una trasformazione culturale del circolo.
- Rivedere la Governance: I circoli dovrebbero essere incentivati (magari tramite agevolazioni federali/fiscali) ad adottare modelli di governance più vicini alle associazioni sportive.
- Semplificare l’Accesso: Campagne non solo promozionali, ma concrete, con pacchetti di prova che includano l’attrezzatura e lezioni basilari a costi minimi. Il percorso per ottenere l’idoneità al gioco (Carta Verde o equivalenti) deve essere snellito.
- Investire nelle Periferie: Non tutti i nuovi tesserati nascono nei resort. Serve un piano di sviluppo per Pitch & Putt o campi pratica urbani, che fungano da “porta d’ingresso” per i neofiti, come accade in molti Paesi del Nord Europa.
Il golf, come la geopolitica, è un gioco di numeri e strategia. La base numerica determina la forza economica, la capacità di attrarre sponsor e, in definitiva, la possibilità di sviluppare campioni. Fino a quando non affronteremo la “questione dei 600.000”, l’Italia resterà un’eccellente vetrina, ma mai la fabbrica di talenti e l’economia del golf che merita di essere.


